Dal 1998 a oggi, ammonta a 364 miliardi di euro l’investimento complessivo attivato in Italia con gli incentivi fiscali per interventi di riqualificazione energetica ed edilizia, di cui hanno beneficiato circa 21 milioni di famiglie. È il dato fornito dal Cresme, il Centro di ricerche economiche sociologiche e di mercato nell’edilizia, che stamattina in commissione Ambiente di Montecitorio ha presentato il Rapporto per il 2020 “Il recupero e la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio: una stima dell’impatto delle misure di incentivazione” realizzato insieme al Servizio Studi della Camera. Ad illustrare i dati raccolti nell’ultima edizione del rapporto è stato Lorenzo Bellecini, direttore del Centro: in generale, ha spiegato in apertura, il mercato edilizio ha mostrato negli ultimi dieci anni cambiamenti rilevanti, caratterizzandosi prevalentemente per interventi di riqualificazione e rigenerazione energetica. Secondo il Cresme il recupero del patrimonio edilizio rappresenta il 73% del valore della produzione delle costruzioni e, tra il 2008 e il 2019, si è assistito ad un aumento del 5,5% degli interventi di manutenzione straordinaria e parallelamente una riduzione del 51,7% degli interventi per la nuova costruzione di edifici. Nello stesso periodo, l’attivazione di incentivi è cresciuta in modo netto, toccando un picco nel 2019 con quasi 29 miliardi di investimenti. Tuttavia, ha spiegato Bellecini, nel 2020 l’effetto della crisi pandemica ha determinato un’inversione di tendenza: il valore degli interventi è sceso a 25 miliardi, con 243mila domande in meno.
Da un punto di vista territoriale, ha proseguito il direttore, l’utilizzo degli incentivi è significativamente differenziato: riguardo agli interventi di recupero edilizio, il 37,4% degli importi è stato attivato dalle regioni del nord ovest, il 27,2% da quelle del nord est, il 20,3% dal centro, il 10,5 dal sud e il 5% dalle isole; con riferimento agli interventi di risparmio energetico, il nord ovest ha attivato il 42% degli importi totali, il nord est il 33%, il centro il 15%, il sud il 7% e le isole il restante 3%. Lo stesso rapporto fornisce una valutazione sugli impatti finanziari prodotti dagli incentivi: nel periodo 1998-2020, su 21 milioni di domande di defiscalizzazione, e 346 miliardi di investimenti complessivi attivati, i costi (o il totale di importi detraibili fiscalmente) ammontano a 165,5 miliardi, mentre i ricavi (e cioè il gettito fiscale e contributivo) a 131 miliardi. Se attualizzati con matrici di contabilità sociale però i valori cambiano, con un ammontare delle uscite pari a 171,3 miliardi, 154 miliardi di entrate e un saldo totale pari a -17.316 miliardi.
Con una novità rispetto al passato, l’edizione 2020 del Rapporto propone uno studio ex ante sugli impatti potenziali generati dal cosiddetto “superbonus”: se la misura dovesse effettivamente scadere nel 2021, ha spiegato il direttore, l’impatto di mercato aggiuntivo stimato è di 2,4 miliardi di euro nel 2021, mentre se dovesse essere prorogata al 2022, l’impatto stimato è di 1,6 miliardi per il 2021 e di 6,4 miliardi nel 2022. Inoltre, il documento mostra il potenziale di mercato, senza limiti temporali e di disponibilità, se si intervenisse su tutti gli edifici del patrimonio immobiliare italiano, pari a mille miliardi per gli interventi di riduzione del rischio sismico e di 600 miliardi per migliorare di due classi il patrimonio edilizio sotto il profilo energetico.