Richiesta secca quella di Confindustria Cisambiente (Confederazione delle imprese private dei servizi per l’ambiente), in audizione oggi nelle commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio della Camera nell’ambito dell’esame del disegno di legge di conversione del decreto Milleproroghe (C. 2845): disporre la proroga al 1° gennaio 2022 dell’efficacia della norma già in vigore che dispone l’assimilazione dei rifiuti speciali prodotti da aziende e industrie a quelli urbani, contenuta nell’articolo 183 comma 1 lettera b-ter punto 2 del dlgs 152/2006 (testo unico sull’ambiente) così come modificato dal dlgs 116/2020.
“Lo slittamento per le nostre aziende sarebbe fondamentale“, ha dichiarato la direttrice generale di Cisambiente Lucia Leonessi, secondo cui mantenendo la vecchia legislazione ancora per un anno si eviterebbe che la nuova norma “piegasse l’impiantistica privata, riducendo in modo tragico la possibilità per i privati di operare”.
“L’assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani”, ha spiegato poi il direttore dell’area tecnica di Cisambiente Stefano Sassone, “è attiva già dal 1° gennaio 2021 e riguarda la possibilità di assimilare i rifiuti che sono prodotti da aziende e industrie e che vengono definiti speciali, a quelli urbani, e di conseguenza di essere intercettati dai soggetti come le aziende che fanno parte di Cisambiente che svolgono in servizio di igiene urbana sul territorio. Questa nuova discplina”, ha proseguito Sassone, “prevede l’esclusione dell’ente locale dalle scelte di assimilazione. In poche parole”, ha chiarito, non sarà più il Comune a stabilire “quali sono e in che quantità i rifiuti speciali”. Al contrario, “quelli prodotti dalle imprese che vengono assimilati agli urbani e quindi vengono intercettati sul territorio di raccolta pubblico saranno direttamente assimilati in base alle attività produttive dalle quali scaturiscono e in base a determinati tipi di rifiuti”.
Le conseguenze pratiche “che potrebbero danneggiare tutte le parti in gioco” sarebberero dunque le seguenti secondo Sassone:
1) le quantità: “Stime recenti prevedono un incremento dei rifiuti urbani a livello aggregato che dovranno essere raccolti dalle aziende che svolgono i servizi di igiene urbana in tutta Italia pari a circa 8 milioni di tonnellate, una quantità esagerata se pensiamo che i rifiuti urbani che vengono prodotti ad oggi sono, secondo le stime di Ispra, circa 30 milioni di tonnellate. Si prospetta dunque un incremento del 33% di rifiuti da intercettare“;
2) la tipologia: “Le aziende del nostro settore non sono abituate a ricevere determinati tipi di rifiuti prodotti dalle indsutrie, che in questa maniera si troverebbero a dover trattare. I Comuni dal canto loro dovrebbero andare a gestire un insieme di utenze iscritte alla tassa rifiuti decisamente più ampio, che dovrebbe includere anche le aziende che prima non erano nell’elenco dei soggetti sottoposti al tributo”;
3) l’organizzazione: “Ci sono problemi di natura organizzativa e strutturale per chi svolge il servizio e problemi di natura logistica da parte degli enti locali che devono effettuare un adeguamento dei soggetti che sono iscritti a ruolo”;
4) i problemi economici: “Ci sono anche conseguenze sul piano economico e finanziario per le nostre aziende: si stima che le nuove ingenti quantità di rifiuti aumenteranno considerevolmente il costo di gestione delle nostre imprese”.
“Sarebbe opportuno”, ha perciò concluso Sassone, che “questa novità essenziale che porta delle conseguenze significative per industrie e enti locali fosse posticipata nel tempo. Serve almeno un altro anno, il tempo utile per poter consentire l’adeguamento sia alle stazioni appaltanti che alle aziende del servizio di igiene urbana per poter sopportare il nuovo ingente carico di lavoro”.